Debora Di Jorio
Percezione del mondo e cura delle relazioni umane nell’era digitale
Conoscere le modalità attraverso le quali le giovani generazioni accedono ai diversi tipi di conoscenza è fra gli obiettivi prioritari del professionista impegnato in ambito educativo e nello studio dello sviluppo umano.
Noi tutti attualmente siamo soliti interagire ogni giorno con due realtà parallele, una fisica e tangibile e una virtuale, prevalentemente di natura visiva. Questo sta progressivamente generando modifiche nell’evoluzione dei canali di apprendimento che interagiscono con le informazioni funzionali ai nostri adattamenti e saperi.
Il cervello ha una natura corporea e non può pensare senza una funzione motoria di riferimento, ogni esperienza che viviamo è corporea e agisce in funzione di uno scopo, anche il solo formulare un pensiero implica una modifica di natura muscolare. Schemi motori coordinati, fin dalla nascita, vengono quotidianamente stimolati, indotti, esercitati e dunque consolidati da una serie di attività necessarie al nostro adattamento finendo per costituire il nostro bagaglio di memorie e apprendimenti impliciti. Di conseguenza, abitudini sbagliate possono notevolmente condizionare le modalità di adattamento del nostro sistema nervoso e anche ridurne la capacità secondo il principio della neuroplasticità “use it or lose it”.
Le nostre esperienze primarie fin da bambini, passano tutte attraverso quello che è un apprendimento motorio sperimentato in una realtà concreta che fa da base a quella che sarà l’evoluzione della nostra complessa e caotica attività cognitiva successivamente capace di astrazione. La realtà fisica e la realtà virtuale sono caratterizzate da aspetti differenti che differentemente agiscono sul nostro modo di apprendere e interagire. Nella realtà fisica ciò che agevola il nostro adattamento all’ambiente è la funzione attentiva che funge da filtro, un filtro fondamentale di cui l’evoluzione ci ha dotato per eseguire una selezione continua e accurata di numerosi dati ambientali, favorendo l’autoregolazione sulla base di un sistema di attivazione e inibizione che nella sua alternanza modula il nostro comportamento attraverso prassie e attività di tipo manipolativo che seguono un ordine preciso in ragione di un obiettivo finale; sequenze ordinate di azioni motorie sono integrate da un attività di tipo tattile, visivo e propriocettivo in una danza che ci consente di interagire con l’ambiente e con gli oggetti adoperati per la loro funzione e con specifiche finalità; senza tutto ciò il nostro comportamento non risulterebbe funzionale a quell’adattamento destinato ad elevare la conoscenza e la qualità della nostra vita.
Ciò che agevola anche il nostro orientamento motorio è una visione ampia da cui è caratterizzato il sistema visuopercettivo umano composto in parte da una visione centrale e in parte da una visione periferica che consente di percepire gli stimoli ambientali presenti ai lati del campo visivo favorendo le nostre capacità di esplorazione e acquisizione di informazioni. Queste possibilità che l’homo sapiens ha raggiunto nel corso di milioni di anni gli hanno permesso di acquisire diverse abilità alcune delle quali estremamente complesse ed elevate, come la scrittura a mano, con una serie di conseguenti benefici anche sotto il profilo chimico mediante il rilascio di sostanze favorevoli all’organismo e all’attività cerebrale. Quali sono invece le caratteristiche di un comportamento influenzato da un’intensa interazione con la realtà virtuale? Per sua natura essa ci consente l’accesso illimitato, utile e incondizionato a un’infinità di informazioni che possono essere esplorate senza un ordine preciso e in maniera parallela e abbastanza caotica, così come ci permette di raggiungere il contatto con persone fisicamente distanti con cui si può consolidare un dialogo, ma anche instaurare forme di relazioni fittizie del tutto prive di un contesto ambientale di riferimento che ne supporti la naturale evoluzione in termini di esperienza sensoriale e motoria (pensiamo al contatto oculare, alla semplice stretta di mano, alla prossemica e alla mimica facciale che accompagnano la comunicazione tra individui, alla crescita lenta e progressiva di un reale conoscersi ) con una conseguente percezione alterata della relazione stessa e anche delle informazioni ad essa associate che essendo decontestualizzate, non sempre si rivelano attendibili e scevre di rischi. La realtà virtuale non richiede inoltre particolare impegno nell’autocontrollo, essendo l’individuo durante l’interazione sostanzialmente fermo e i suoi comportamenti meno autoregolati. Con la semplice pressione di un dito è possibile dare il proprio consenso o dissenso a qualcosa che talvolta richiederebbe maggiori riflessioni e utili approfondimenti; con rapide decisioni ci è consentito manifestare gradimento su qualcosa senza esserne del tutto convinti o adeguatamente informati, semplificando in maniera eccessiva il pensiero, filtrato da un canale che rivela intenzioni approssimative che in un’esperienza diretta sarebbero molto più ragionate.
Anche i tempi di attesa nell’interazione virtuale risulterebbero estremamente ridotti, con un conseguente e incessante sostegno nutritivo ai circuiti del nucleo della ricompensa siti nel lobo frontale.
Ma quali sono gli effetti che genera l’interazione con l’esperienza fisica e quelli generati dall’interazione intensa con l’esperienza virtuale? Nell’ esperienza fisica la motricità viene regolarmente esercitata peraltro in forma integrata con i canali percettivi che interagiscono con l’ambiente, questa esperienza nel tempo genera e consolida l’apprendimento a beneficio del metabolismo del sistema nervoso e di una migliore ossigenazione del cervello, della memoria e dei livelli di autostima legati al perseguimento di scopi sulla base di un’esperienza che è vissuta in modo globale e diretto, che è percepita in modo interamente corporeo anche sotto il profilo comunicativo e della condivisione con l’ambiente circostante. L’interazione di tipo fisico e corporeo genera maggiore chiarezza ed esaustività del messaggio e questo a vantaggio anche di una più chiara percezione delle relazioni sociali e affettive che ci circondano.
Diversamente gli effetti legati ad un’eccessiva interazione col mondo virtuale riducono la globalità dell’attività motoria, com’è ridotta anche l’esperienza sensoriale che già di per sé è relativamente oggettiva e molto condizionata dalle nostre individuali possibilità di interpretare il mondo poiché ciascuno di noi possiede requisiti percettivi qualitativamente differenziati, anche se di poco, da quelli di altri individui. L’individuo che interagisce per un tempo prolungato durante la giornata con il mondo virtuale è una persona che conduce una vita sostanzialmente sedentaria.
L’attività sensoriale stessa di un’esperienza di questo tipo progressivamente si ridimensiona. Una studio di alcuni ricercatori dell’Università di Zurigo pubblicato su Current Biology, ha rilevato, attraverso l’utilizzo delle neuroimmagini, che le aree corticali associate ai polpastrelli risulterebbero estremamente più attive rispettò ad altre, lì dove l’interazione con lo strumento digitale risulti regolare e intensa.
In un suo libro lo scienziato Norman Doidge, spiega che la visione stimolata nell’interazione con lo strumento digitale è una visione sostanzialmente di tipo centrale che si iperattiva a discapito della visione di tipo periferico che dà la giusta percezione del contesto ambientale che ci circonda e di cui avvertiamo infatti la presenza grazie ai nostri emicampi visivi destro e sinistro.
Il fotografo californiano Eric Schmidt ha messo in risalto un’immagine che ha considerato un emblema dei nostri tempi, ha ritratto al largo della California uno skipper che, immerso nell’interazione con il suo smartphone, non si rende conto del cetaceo che sta emergendo proprio accanto alla sua barca a vela perdendo così l’opportunità di vivere un’esperienza emotiva probabilmente irripetibile. Questa immagine evidenzierebbe come l’attenzione fissata sullo schermo dello strumento digitale accentui la funzione visiva centrale isolandola dal contesto e riducendo la visuopercezione di tipo periferico.
Tra gli altri effetti legati all’esperienza virtuale c’è un’alterazione delle caratteristiche dei diversi tipi di apprendimento che spesso coinvolge gli stessi bioritmi specialmente quando la permanenza sul web si protrae fino a notte inoltrata con una riduzione dei tempi del sonno e un conseguente squilibrio della regolazione della funzionalità endocrina e della regolazione dei livelli glicemici, come dimostrerebbe uno studio condotto da Josiane Broussard e i suoi colleghi del Cedars Sinai Medical Center di Los Angeles.
Anche i circuiti dell’attenzione risulterebbero disturbati dal sovraccarico di informazioni visive faticosamente gestite dalla memoria di lavoro perché non sottoposte ad adeguata selezione verso un naturale passaggio al magazzino della memoria a lungo termine.
ll senso di insoddisfazione legato alla sostanziale inconsistenza di un’esperienza che è poco concreta comporterebbe a lungo andare stati di depressione e di stress oltre a una condizione di dipendenza e isolamento dalle relazioni sociali reali che il cervello percepisce come maggiormente impegnative e dispendiose per quanto più sane e qualitativamente preferibili.
Il fenomeno giapponese degli hikikimori rivela da un lato lo sfondo di un drammatico disagio individuale e familiare di un contesto sociale che si sta estendendo anche ad altri paesi, dall’altro la tendenza a trovare facilmente rifugio in una realtà immediatamente accessibile e poco esigente sul piano concreto e della competizione perché non soggetta al rischio di prove direttamente verificabili e valutazioni meritocratiche.
Come si pone l’educazione davanti a questo scenario? Ha senza dubbio il compito di salvare la relazione umana sfruttandone il più possibile l’originaria natura. Incentivare dunque forme di comunicazione e condivisione diretta e fisica. Esercitare la motricità e la manipolazione a tutte le età, sia a casa che a scuola, attraverso delle attività come il semplice camminare, i cui benefici per la salute e l’attività cognitiva numerosi studi hanno confermato; esercitare il movimento del corpo attraverso compiti semplici come riordinare ambienti, cucinare, impastare, scrivere, cercare dunque di ampliare quell’esperienza tattile e manipolativa che l’interazione digitale riduce al solo uso di un paio di dita; allenare le funzioni esecutive quotidianamente attraverso sequenze ordinate di azioni mirate al raggiungimento di piccoli obiettivi, creando una sorta di microprogetti quotidiani da portare a termine, leggere libri cartacei che integrano l’esperienza sensoriale e manuale con il movimento oculare a differenza dei testi digitali; scrivere a mano la lista della spesa, gli appunti di studio, per non perdere l’esercizio di una funzione cognitiva connessa ad un alto livello di concentrazione; cantare, ascoltare musica in maniera concentrata come ricorda Oliver Sacks nel suo Musicofilia, perchè ascoltare musica è anch’essa un’esperienza motoria che attiva aree preposte a riprodurla oltre che percepirla; ripetere concetti e materie di studio ad alta voce perché questa esperienza linguistica è un’ esperienza motoria che rafforza la memoria e il linguaggio, affina la riflessione sulla scelta dei vocaboli e riordina stabilmente la sequenza mentale dei concetti; disegnare, dando anche libero sfogo ad immagini mentali delineandole attraverso spunti creativi e condividere queste esperienze il più possibile, nutrendo le relazioni sociali perché sono sicuramente il pane più sano per il cervello e per la salute in generale dell’individuo, ricordandoci, come sottolinea Manfred Spitzer che tutto quello che di straordinario è stato realizzato nella storia dell’uomo è stato creato attraverso le sue mani. Un insegnante o un genitore potrebbero chiedersi come poter allontanare allievi e figli da un eccessivo e poco consono uso degli strumenti digitali. Potremmo rifarci a quell’adagio che recita: “chi non è presente ha sempre torto”, quindi cercare di colmare il tempo delle giovani generazioni con esperienze e interessi che siano emotivamente appaganti, ma educare loro anche ad usare i momenti, pur necessari, di noia e solitudine, come fonte di creatività, di riflessione e di progettazione, senza ridurli al riempitivo di compensazioni offerte dalla rete, utilizzando questa solo per ricerche mirate e progetti definiti. La scuola potrebbe ripristinare la vecchia modalità di fare ricerche scolastiche mediante l’utilizzo di cartelloni, figure e immagini da ritagliare, da incollare, un esercizio cognitivo, tattile, propriocettivo perché esercizio motorio e manipolativo di selezione e sequenza, esperienza arricchente di condivisione con i compagni, che rinforza non solo le diverse funzioni, ma anche i livelli di autostima e il senso di cooperazione e sana competizione.
Il nostro cervello si evolve attraverso il canale del suo avamposto che si affaccia sul mondo, i nostri occhi, veicolo privilegiato dell’emozione e dell’apprendimento perché la plasticità cerebrale viene innescata da cambiamenti percepiti a livello oculare, ma l’attività cerebrale e mentale non possono essere comprese separatamente dal resto del corpo. L’educazione non può prescindere dall’assioma evolutivo secondo il quale l’esercizio costante di una funzione sensoriale e motoria non può che determinarne la struttura.
BIBLIOGRAFIA
Beau Lotto – Percezioni – Bollati Boringhieri – 2017
John Pinel – Psicobiologia – Il Mulino – 2017
Eric Kandel – Principi di Neuroscienze – Casa Editrice Ambrosiana – 2003
Oliver Sacks – Musicofilia – Adelphi 2007
Norman Doidge – Il cervello infinito – Ponte delle grazie – 2007
Manfred Spitzer – Demenza digitale – Corbaccio – 2013
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