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Quando iniziai a soffermarmi sulla necessità di dare un nome alla scuola di formazione che stava per nascere mi volsi con istinto curioso al ricordo dei miei studi classici e all’anomalia di un verbo greco fra i più temuti dagli studenti per la sua particolarità semantica e flessione irregolare, per il suo tema verbale così ‘diverso’ dalla mutevole e copiosa discendenza che avrebbe generato.  Sarà stato proprio per questo che mi convinsi che non avrei potuto scegliere un nome più appropriato. Un tempo chiamato perfetto, perfetto fortissimo, perfetto nel suono, perfetto nel significato, perfetto nella forma, perché dietro l’apparente innocuità di quattro lettere si nascondeva la complessità di un’ evoluzione linguistica, affascinante quanto esigente, che infondo non lasciava spazio ad equivoci e ambiguità e dove l’osservazione evocata dal presente si faceva ricerca incessante, fonte di un sapere che traeva nutrimento dalla ricerca stessa silenziando l’immota possibilità  del passato.

La magia si sarebbe compiuta quando tracciando le lettere maiuscole dell’alfabeto greco in un ordine verticale, l’una sull’altra, mi resi conto che avrebbero formato non solo una parola, ma una figura umana. Perfetto allora, come l’intenzionalità commossa e immutabile di uno sguardo innamorato sul fine ultimo che non conosce tempo. Perchè OIDA dunque, perchè dietro ogni parola del greco antico c’è quasi sempre una storia, un modo di comunicare connaturato in un’azione concreta, un modo di vedere il mondo, condividerlo ed esprimerlo agl’altri per tradizione e cultura. Se  la massima Chi legge sa molto, ma chi osserva sa molto di più di Alexander Dumas figlio custodisce un fondo di verità ciò vale sicuramente di più per le professioni educative. La grammatica della lingua greca antica conferisce ad oida il significato di io so, ma non morfologicamente, perché, pur assumendolo, esso non è un tempo presente bensì il perfetto terzo o anche detto ‘fortissimo’ che equivale al passato prossimo italiano del verbo orao che significa vedere, osservare.

L’accezione quindi di sapere avrebbe origine dal protrarsi dell’atto di chi osserva, motivo per cui il perfetto oida esprime: ‘so perché ho visto’, presupposto inalienabile di ogni azione pedagogica fondata appunto sull’acquisizione di una conoscenza in continua evoluzione, imprescindibile dall’osservazione ecologica costante, dall’ascolto e dalla relazione con l’altro. Da questo antico retaggio legittimamente ricondotto alla figura del pedagogista, deriva la scelta del nome di questa realtà formativa, culturale e professionale, per quanti si sentano naturalmente inclini e motivati ad inserirsi nella dimensione pedagogica con gli strumenti adeguati, ma soprattutto con la pazienza costante e consapevole di fermarsi ad osservare, così come esige il tempo della relazione.

Settembre 2017

                                                                                                              Debora Di Jorio

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